El Entenado, L’arcano, Il testimone, sono tre titoli dello stesso libro scritto nel 1983 dallo scrittore argentino Juan José Saer.
Il primo è il titolo originale e significa: nato prima, figlio di primo letto, orfano/fratellastro, non avere origini né hogar, cioè focolare, casa. Ho trovato esempi solo al maschile e mi sono chiesta se lo stesso significato sussista per il femminile. Il secondo e il terzo titolo sono stati dati nelle successive pubblicazioni di due diverse edizioni.
Sono pagine che si posizionano come una sottopelle di cui provi a scorticarla, ma che senti un suo radicarsi altrove. Il memoriale va oltre la storia, ma della storia si nutre parola dopo parola.
La tribù Colastiné svolge la propria vita nelle coste del Sud America, nel sedicesimo secolo,
e qui che si compie una parte fondamentale del romanzo, poiché tutto il resto ruoterà intorno a quegli anni vissuti dal narratore con gli indios.
In me ha prodotto pensieri indistricabili, sensazioni tormentose, sentimenti contraddittori, riflessioni ancora in atto e difficilmente destinate a concludersi. Una scrittura precisa, puntuale, descrittiva nel punto essenziale e mai superflua, accessoria, ingombrante. Un viaggio. Un viaggio è verso l’ignoto sia all’andata che al ritorno, anche se spesso nella seconda parte si ritorna a qualcosa di cui precedentemente si aveva conoscenza. Necessita di sradicamento.
E senza origini né hogar la condizione di sradicamento è totale. Una condizione che permette di
ri-nascere, mi chiedo.
«[…] La carne fumava, lentamente, sul fuoco. Il grasso, sciogliendosi, gocciolava sula brace producendo uno sfrigolio, costante e monotono, e a volte formava un breve nucleo di combustione che accresceva il fumo e attirava l’attenzione degli arrostitori, pronti a chinarsi per smuovere il fuoco con lunghi bastoni. Il silenzio degli indios era così profondo che, malgrado la moltitudine attorno alle graticole, si sentiva soltanto il crepitio sordo della legna e la cottura lenta della carne sul fuoco… L’origine umana di quella carne scompariva, gradualmente, col processo della cottura…
Sulle graticole, per un osservatore imparziale, si stavano arrostendo i resti di un animale sconosciuto…
Di tutte le componenti dell’uomo, la più fragile è, come si può vedere, quella umana, non più ostinata o semplice delle sue ossa.
…In tutti quegli indios era visibile la stessa frenesia di divorare che sembrava impedirgli il godimento, come se la colpa, assumendo l’apparenza del desiderio, fosse stata in loro contemporanea al peccato… Il piacere che provavano per la carne era evidente, ma il fatto di mangiarla sembrava riempirli di dubbi e di confusione.
…Chiunque poteva fermarsi vicino agli orci e farsi riempire cinque o sei volte di seguito le piccole zucche che vuotava in un solo sorso, oppure poteva attingere quante volte voleva ai recipienti: i distributori di acquavite mostravano, in entrambi i casi, la stessa indifferenza. E si mostravano imperturbabili anche di fronte all’eccitazione crescente della tribù.
…Rumore di membra tese, di sfinteri, di pori, al quale si mischiavano l’alito impercettibile dei sospiri interni che non giungevano all’esterno ad alterare l’aria, e lo stridore prodotto, al risveglio, dalle ossessioni corrose, dai desideri ignorati e condannati a ispessirsi e a marcire nel nero umido e senza fondo del proprio essere, dagli appetiti faticosi che consumano, come un fuoco ignorato e freddo, il firmamento interno e lo trasportano, insensibilmente, alla morte.
…C’era chi si apriva come i fiori o le bestie… alla ricerca, tra la folla, dell’oggetto adeguato alla propria immaginazione, con la precisione sventata di chi vuol far coincidere, come fossero fatti della stessa pasta, l’interno con l’esterno. Non si preoccupavano né dell’età né del sesso né della parentela.
…Non gli piaceva che qualcosa, distruggendo la loro resistenza, gli piacesse.»
Non aggiungo altre parti del libro di Juan José Saer: Il testimone
anche perché, letteralmente, c’è tanta carne al fuoco
frelen