Riscrivo qualche battuta dell’atto terzo – e ultimo – del testo teatrale Lavare i panni. Le strutture sociali non possono reggere l’illimitatezza. Viola e Zar non esigono di comprendersi, sono solo disposti a farlo. Restano due entità differenti e anche incomprensibili l’una all’altra; aperti a una consapevolezza e a una volontà di sviluppare una amicizia. Diventano amici per la voglia di conoscersi. Non hanno il timore di ascoltarsi; procedono sviluppando e articolando un percorso non scontato che tende a liberarsi dai condizionamenti. La forza non è nel raggiungere un risultato. Il fatto di provarci è la prova.
Atto terzo
VIOLA: Ho dovuto ancora una volta conoscermi sempre più a fondo e per farlo ho voluto rimettermi n situazioni estreme, per sostenere una prova con me stessa e capire cosa è vero fino in fondo.
ZAR: E sei riuscita a comprenderlo?
VIOLA: No e… Sì, sì e no, forse, non so. Ho avvertito una forte scossa dentro l’acqua e l’essere discesa lì dove risiedono le mie catene è stato decisivo. Evidentemente qualcosa di importante si è infranto nella mia vita affettiva e ho dovuto retrocedere per ritrovare se non proprio le cause, almeno la visione delle mie emozioni, di quello che non si cicatrizza…
ZAR: Viola, ogni volta che non ti senti compresa pensi di essere rifiutata, non ti senti mai amata così. Sentirsi sempre compresi è impossibile, non si ha la forza di capire sempre l’altro…
VIOLA: Non pretendo la comprensione, tra l’altro neppure io comprendo a pieno me stessa, ma non accetto più da nessuno di essere trattata per, e, in tutta la vita come una persona, a un quarto o peggio ancora solo a piccoli frammenti e ruoli. E una parte di me cerca sempre quell’Amore.
«[…] Io sono un gabbiano… che c’entra sono un’attrice. Sì… lui non credeva nel teatro, rideva sempre delle mie fantasie, e a poco anch’io smisi di credervi e mi perdetti d’animo… Adesso sono diversa… Ormai sono una vera attrice. recito con piacere, con entusiasmo e mi sento bellissima. Ora poi, da quando sono qui, cammino a lungo, cammino e penso, penso e sento crescere di giorno in giorno le mie forze spirituali… Adesso io so, capisco Kostja, che del nostro lavoro- poco importa se recitiamo o scriviamo- l’essenziale non è la gloria, non è il lustro, non è ciò che sognavo, ma la capacità di soffrire. Sappi portare la tua croce e abbi fede. Io ho fede, e questo mi allevia io dolore, e quando penso alla mia vocazione, non ho paura della vita».
ZAR: È meraviglioso sentirti pronunciare le parole che Nina, nel Gabbiano di Cechov soffia, emana dalla sua consapevolezza e sofferenza… Parli come lei, soffri come lei.
VIOLA: No, parlo come Viola, sia pure usando le parole di Nina e pur vivendo un’osmosi soffro sola nel mio corpo, come mi ha insegnato Antonin Artaud, pur ricevendo i soffi intrinseci da quelle parole.
ZAR: Anche tu dicevi., prima che dovremmo prenderci il peso, io, tu, tutti, dividerci il fardello della sofferenza, affinché si possa vivere per la vita stessa… ero io a dirti che non accadrà mai, invece adesso voglio che tu senta la mia amicizia, e più che mai voglio che tu non ti senta mai più sola.
Un così sereno parlare del fardello della solitudine di certi momenti oscuri era davvero molto che non mi capitava
Devo ammettere questa raccolta avere in parte questo ruolo di esempio, o meglio di dimostrazione che se mi sento solo (a torto) nello spazio, non posso illudermi di esserlo nel tempo, un po’ come intuisco Viola essere stata con Artaud (che non conosco, ops)… e che bello vedere il momento in cui la gabbianella prende il volo e si rende conto della vitalità di questi momenti così temuti, che non si superano mai del tutto, diventare Vitali con questa “capacità di soffri Vitali
Mi sento anche di domandare: dunque ci possiamo sentire -non dico arrivati, ma diciamo- “al giro di boa” del capire come vivere con noi stessi solo nel momento in cui riusciamo effettivamente a realizzare in qualche modo quello che di noi stessi proiettiamo all’esterno?
Se Viola non fosse riuscita a diventare attrice, e in un qualche modo Zar avesse avuto ragione fino alla fine, lei non avrebbe avuto possibilità di sentire dalla sua mente e dal suo corpo tale maturità (intesa come sicurezza di se, serenità, che in questo caso è chiaramente legata a questo processo di affermazione nella vita)?
A G
La parte di testo che hai letto non è così chiara e del tutto comprensibile, probabilmente perché manca tutto il resto: il prima e il dopo delle altre pagine.
Che Viola aspiri a essere un’attrice è una tua intuizione molto azzeccata.
Viola parla con il suo amico Zar e gli riferisce le parole di Nina tratte da “Il Gabbiano” di A.Cechov, in cui credere in se stesse/i è una vera forza per vivere a pieno una nostra componente fondamentale che risiede in noi.
Quando Zar le risponde che lei-Viola parla come lei-Nina, Viola gli controbatte che parla come Viola e non come Nina, perché soffre sola nel suo corpo. Questa consapevolezza è frutto anche dell’insegnamento di Antonin Artaud. Lui diceva nei suoi scritti che nel corpo si soffre soli. Penso sia innegabile la solitudine del proprio corpo quando si sta male…
L’affermazione nella vita? Forse può coincidere che la nostra parte interna trovi ampiezza e riscontro verso l’esterno e che tale processo rilasci una dose di sicurezza e fiducia in se stesse/i. In queste mie pagine, Viola non crede in molte cose; è un bel po’ a pezzi riguardo più situazioni, ma sente che di Zar può fidarsi. Lui vorrebbe starle vicino anche in quei momenti in cui lei sta male e non riesce a stare in compagnia, Per il resto? Spesso non si comprendono, ma sono legati dalla loro amicizia.