Tredicesima pagina Una mutevolezza nel cielo

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Testi legati dalla precarietà, da cenni propositivi che puntualmente vengono distrutti o mutati in altro. Pulsa la ricerca di un assoluto, fosse pure in cielo, in un ciclo, in un segno, in un pensiero. E qui ci si confonde: non comprendendo più in quale termine ci stiamo addentrando. Se tutto muta siamo entrate/i in una fissità? Stiamo assistendo allo sfioramento della meta verso l’assoluto?
Il perenne continuo ribaltamento di ciò che all’inizio abbiamo considerato e che ora ha mutato la propria posizione. Forse la constatazione di questa scoperta – o semplicemente di questo sentire – può generare angoscia, ma non si può certo negare per paura di vivere uno stato di angoscia.

 

 

Una mutevolezza nel cielo

quattro esercizi

• All’ingresso le guardiane

Ponevo le crassule portulacee
a guardiane
due vasi di terracotta
pesanti da rientrare
nella stagione del freddo

due alberi di giada
a scoccare ricordi di clorofilla

la nostra cura per ogni tempo
la nostra gioia nella foglia incarnata
una pena sentirle prive

ripiantare falange per falange
caduta dopo caduta
riposizionare dalla scissione

beatamente invocare una riparazione

non sappiamo di un filo di erba
il fiore capovolto
il frutto agganciato
il vuoto

impresso il cibo arboreo
nella cellula animale
nell’escremento lasciato andare
in un calco di memoria

•• Passaggi

Moltitudine che cammina
passeggia
le panchine sono occupate
ne cerco una
la trovo mi siedo
fumo l’ultima sigaretta
tiro fuori il libro
Residenze invernali
lo richiudo
dopo averlo aperto
cade per terra
lo riapro leggo
Ecco lì c’era una crepa, laggiù una macchia e oltre la finestra
chiusa il profilo del mare
la crepa c’è anche qui
è nell’aria
ho cercato di sentire l’allegria
di spingermi nelle sue vicinanze
per farmi contagiare
la trasmissione non è avvenuta
tra qualche minuto mi alzerò
questo riesco a prevederlo
non resisterò a lungo
ho freddo
è sera
non ho mangiato
il cielo ha colori di riposo
la gente dirada verso l’ovest
ho ancora tanta strada
prima di entrare dalla porta
resto inchiodata alla panchina
legno duro freddo
gli alberi ringraziano
i piccioni non ci sono
tutto è mutato
la penombra accompagna i passanti
vado alla stazione tra un po’
per salire sul treno
non posso distrarmi
devo scendere alla fermata per casa
sarò la sentinella
della mia attenzione

••• C‘è troppa primavera qui per i miei gusti,
troppo verde nella ciotola dell’insalata. Troppo racconti di salvezza; e prima
un blu incredibile
… Mary Jean Chan

Lo sguardo di un occhio impudente occorre
gli scaffali collassano merce in ripetizione
l’ordine delle cose nelle confezioni del cibo
accomunato imballato vitaminizzato
avariato nel futuro del tempo
la miseria contrappone la sua simmetria
il portafoglio dallo zaino assente
si assenta introvabile fuggito
la cassiera ha lo sguardo stanco
non si scompone dalla postazione
rinuncio a quella roba assimilata
nel carrello e a casa non la porterò
stasera la spesa inerte ammucchiata
cucinerò quello che ho chez moi

per le strade in bicicletta raccatto strisce
di odori che sforzano il rifugio dei sensi
la rinascita di forme di vita localizza
una breccia tra me e il circostante
il ritorno il crescente il fiorito

stanotte voglio fiori nel mio spazio

•••• 1 m³ di ossigeno = 1000 L

C’è un quindici ogni mese
una metà circa di ogni cosa
nelle piazze i piccioni
mi terrorizzano ancora

tutti quegli anni in mezzo non contano

i segni di spunta non testimoniano
la risoluzione
c’è tanto verde polmonare
in questi giardini
la bellezza è una guida sconvolta
o proteiforme e coinvolta

cerchiamo l’ossigeno negli abbracci serrati

cerchiamo di non respirare nella stretta dei corpi

si imprime come uno stemma
una lettera e poi
incompleto il nome ha suoni
per una partenza
per dire riprova
non scriverci sopra le lettere sbagliate

frelen

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